Mimì sapore di Napoli in un peperone ripieno (Il Messaggero)
Napoli da mandiare senza seduzioni aggiunte. Niente Vesuvi, borghi marinari, vedute del golfo. Ma se non interessano la cartolina, o il folklore, l’indirizzo giusto è dietro la stazione centrale.
Un locale di rassicurante classicità borghese. Ma i bagliori vengono dalla cucina e da una travolgente vocazione verso il cibo inteso come abbandono lazzaro all’eccesso.
Porzioni, offerte, equilibri portati al limite fanno di una sosta a questi tavoli l’occasione per un’incursione di prima mano nell’anima oscura e verace del ricettario partenopeo.
Lasciati alle spalle i timballi dei Borbono, vanno in scena Pulcinella, la saggezza e la melanconìa, insieme a ‘o Pazzariello e il risultato è travolgente.
La sosta potrebbe esaurirsi anche solo con due primi di esecuzione assoluta: l’ultraclassico spaghetto al filetto di pomodoro, oppure le linguine con le vongole veraci.
Dopo un assaggio così, diventa difficile riconciliarsi con le scolastiche pastasciuttine di casa. Ma come rinunciare a sfizi di apertura come i polpetti affogati, il sautè di frutti di mare, la piccola zeppola fritta di cecinielli, i peperoni ripieni?
E Che dire dei rigatoni tirati con un diabolico sughetto di cozze e fioti di zucchina?
Nei secondi prevale pesce di assoluta freschezza. L’acqua pazza è eseguita a regola d’arte, ma vale la pena godersi anche un assaggio di fritto.
Conclusione con babà, pastiera e “finocchiello” (molto meglio del limoncello). Per un vero peccato di gola.
Il Messaggero, Venerdì 2 Ottobre 1998